Cos’è la querela? Ecco quando, come e dove sporgerla.

Spesso e volentieri nel linguaggio comune si tendono a confondere termini quali quello di “denuncia” e quello di “querela”. Nonostante ciò, si tratta di due istituti diversi che è opportuno conoscere, così da essere in grado di tutelare i propri diritti al momento del bisogno.

In linea di massima, i reati sono procedibili d’ufficio. Ciò significa che basta che la notizia della commissione di un reato giunga all’Autorità giudiziaria, generalmente per il tramite delle forze dell’ordine, perché quest’ultima possa iniziare a svolgere delle indagini e, qualora risultasse confermata, perseguire il reato sottoponendo il responsabile a processo.

La comunicazione con la quale il cittadino informa l’Autorità giudiziaria della commissione di un reato, così che quest’ultima possa perseguirlo, è appunto la denuncia.

Questa regola incontra tuttavia un’eccezione nei reati procedibili a querela di parte.

Limitatamente a questa particolare categoria di reati, infatti, l’Autorità giudiziaria può svolgere indagini e successivamente perseguire la commissione dell’illecito, sottoponendo il responsabile a processo, solo allorquando sia la persona offesa, ovverosia la vittima del reato, a richiederlo espressamente.

Senza la richiesta della persona offesa, pertanto, questa particolare categoria di reati non può essere perseguita dall’Autorità giudiziaria e l’illecito rimane inesorabilmente impunito. La richiesta di perseguire uno di questi particolari reati è detta appunto “querela”.

 

Quali sono i reati procedibili a querela?

I reati procedibili a querela sono essenzialmente di due categorie.

In primo luogo, vengono in rilievo una serie di piccoli reati bagatellari, rispetto ai quali lo Stato non ritiene opportuno intervenire almeno che non sia la stessa persona offesa a richiederlo. La scarsa gravità e la grande diffusione di questi “piccoli” reati renderebbe infatti impossibile perseguirli tutti e, in ogni caso, non ve ne sarebbe l’interesse, data la scarsa offensività delle fattispecie in questione. Si può dire che, per questa categoria di reati, l’interesse tutelato (l’onore, l’incolumità personale o il patrimonio) sia rimesso alla disponibilità del cittadino, che può decidere liberamente di disporne, anche rinunciando alla sua protezione.

I più comuni reati procedibili a querela di parte sono: l’ingiuria, la diffamazione, la minaccia, le percosse, le lesioni personali lievissime e le lesioni colpose di ogni gravità (si pensi alle lesioni subite nell’ambito dei sinistri stradali), la violenza privata, l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la violazione di domicilio e la truffa.

Una seconda categoria di reati procedibili a querela è invece rappresentata da alcuni illeciti molto più gravi ma rispetto ai quali, non di meno, l’ordinamento preferisce rimettere alla persona offesa la scelta se perseguirli o meno.

Si tratta in particolar modo della violenza sessuale e degli atti persecutori (il c.d. stalking). Per queste ipotesi di reato non è la scarsa gravità del fatto ad indurre il legislatore a lasciare l’ultima parola alla vittima del reato, bensì il rischio di gravare la vittima di un sacrificio eccessivo, imponendole di rivivere nuovamente l’accaduto in un pubblico processo, dove sarebbe chiamata a testimoniare.

E’ tuttavia opportuno precisare come, anche rispetto ai reati normalmente procedibili a querela, possano di volta in volta venire in rilievo particolari circostanze aggravanti idonee a rendere anche questi ultimi procedibili d’ufficio.

 

Quando proporre la querela?

La querela non può essere proposta in qualunque momento, ma è sottoposta ad un breve ed improrogabile termine decadenziale.

In particolare, la querela deve essere proposta entro tre mesi dal momento in cui la vittima ha notizia del reato commesso a suo danno. Il breve termine decadenziale non decorre perciò dal giorno di commissione del reato, bensì da quello in cui la vittima ne ha conoscenza. Scaduto il suddetto termine trimestrale la querela non è più ammissibile ed il reato non può più essere perseguito.

E’ quindi importante rivolgersi tempestivamente ad un legale quando si ritiene di essere stati vittime di un reato procedibile a querela.

Il termine entro il quale è ammissibile la proposizione della querela è invece di sei mesi, anziché i canonici tre, in relazione ad alcuni degli illeciti più gravi tra quelli procedibili a querela e, in particolare, per la violenza sessuale e gli atti persecutori, altrimenti detti “stalking”. Anche in questi casi rimane tuttavia indispensabile sporgere tempestivamente la querela, per non correre il rischio di pregiudicare la perseguibilità del reato subito.

 

Dove proporre la querela?

In linea di massima, si può sporgere una querela rivolgendosi direttamente alle forze dell’ordine, che successivamente comunicheranno la medesima all’Autorità giudiziaria affinché quest’ultima possa perseguire il responsabile.

Tuttavia, si consiglia sempre di rivolgersi ad un legale di fiducia. Ciò per una ragione molto semplice. La denuncia/querela è il primo atto di un nuovo procedimento penale e, per molti versi, ha un ruolo importante per metterlo “sui giusti binari” e condurlo all’esito auspicato.

Se ci si rivolge direttamente alla Procura, alla Polizia o ai Carabinieri, quest’ultimi non faranno altro che verbalizzare quanto la persona offesa riferisce sui fatti d’interesse, com’è corretto che sia. In questo modo, tuttavia, se non si possiede una specifica preparazione giuridico-penalistica, si rischia di omettere, o comunque di non sottolineare adeguatamente, gli aspetti giuridicamente più importanti della vicenda.

Soltanto con l’ausilio di un professionista, invece, si potrà redigere la querela alla luce della competenza ed esperienza professionale del legale, mettendo adeguatamente in rilievo le circostanze legalmente più rilevanti e convogliando così il procedimento verso un risultato davvero favorevole per la persona offesa.

 

Può rinunciarsi ad una querela già proposta?

Si, di regola la querela è sia rimettibile che rinunciabile. Ciò significa che la persona offesa ha il diritto di rinunciare preventivamente  – e definitivamente – a sporgerla, così come può revocarla in qualsiasi momento dopo averla sporta. In particolare, una volta proposta la querela, la vittima del reato può rimetterla finché il processo a carico del responsabile non si sia concluso con una sentenza definitiva.

Con la remissione della querela il processo a carico del responsabile si estingue definitivamente, senza conseguenza alcuna né per l’autore né per la vittima del reato. Una volta rimessa, la querela non può più essere proposta. La remissione di querela, per essere valida, deve essere accettata dal querelato.

E’ proprio per questa ragione che si consiglia sempre di proporre la querela nei termini di legge, così da poterla eventualmente rimettere in seguito in cambio del risarcimento del danno. In questo modo la querela diventa un valido strumento per facilitare la risoluzione della controversia sul piano civilistico/risarcitorio, anziché su quello penale.

Avv. Ronny Spagnolo, Ph.D.

L’Avvocato d’ufficio, chi è e da chi viene pagato?

Molto spesso i “non addetti ai lavori” tendono a confondere istituti quali il difensore d’ufficio ed il patrocinio a spese dello Stato e pertanto a non comprendere bene per quale motivo dovrebbero retribuire l’avvocato d’ufficio che abbia svolto attività in loro favore. A confondere le idee si aggiunge peraltro la vasta cinematografia giudiziaria americana che, essendo appunto ambientata negli Stati Uniti, riporta un modello di difensore d’ufficio piuttosto differente da quello presente nel nostro ordinamento, rendendo così difficile per il cittadino orientarsi.

Cerchiamo allora di fare un po’ di chiarezza sul tema, distinguendo tre diverse figure.

L’avvocato di fiducia

Il difensore di fiducia è, com’è intuibile, quell’avvocato che viene scelto liberamente dal cittadino coinvolto in un processo penale. Tra i due si instaura perciò un rapporto fiduciario e, naturalmente, in cambio della prestazione professionale ricevuta il cliente si impegna a retribuire il professionista.

In seguito alle riforme degli ultimi anni, peraltro, non esiste più alcun regime tariffario, con la conseguenza che avvocato e cliente sono liberi di convenire liberamente il prezzo della prestazione professionale. Solo qualora non vi sia stata alcuna pattuizione in merito e la quantificazione dell’onorario professionale venga rimessa alla decisione di un Giudice, quest’ultimo sarà tenuto a determinare quest’ultimo sulla base di alcune tabelle ministeriali che sono attualmente previste dal DM n. 55/2014.

Tuttavia, qualora l’avvocato prescelto sia iscritto nell’apposito elenco ed il cliente abbia i necessari requisiti reddituali, anche l’avvocato di fiducia potrà difendere il proprio cliente senza oneri per quest’ultimo, ovverosia a spese dello Stato. In questi casi, infatti, l’avvocato scelto dal cittadino non abbiente viene retribuito direttamente dallo Stato.

L’avvocato d’ufficio

Per comprendere appieno il ruolo del difensore d’ufficio, occorre tenere in considerazione come nel processo penale la difesa tecnica sia obbligatoria. Il cittadino indagato o imputato di un reato non può scegliere se avere o meno un difensore, ma è obbligato ad averne uno.

Nelle ipotesi in cui il cittadino non risponda all’invito dell’Autorità giudiziaria a procurarsi un avvocato di fiducia, quest’ultima ne nomina uno d’ufficio, scelto nell’ambito della lista degli avvocati che esercitano la professione in ambito penalistico e che hanno dato la loro disponibilità ad assumere difese d’ufficio. In genere, la maggior parte degli avvocati penalisti esercita la professione, di volta in volta, sia come avvocato fiduciario e sia come avvocato d’ufficio. L’assistito rimane in ogni caso libero di rivolgersi ad un avvocato di sua fiducia in qualsiasi momento, anche dopo l’assegnazione di quello d’ufficio.

La circostanza che il difensore d’ufficio sia scelto (con una procedura automatizzata) dall’Autorità giudiziaria, anziché dall’interessato, non incide in nessun modo sul diritto alla retribuzione del professionista. Il cittadino che gode della prestazione professionale dell’avvocato d’ufficio ha infatti l’obbligo di pagarne le relative spettanze professionali, al pari di quel che accadrebbe se avesse nominato un suo difensore fiduciario.

L’avvocato d’ufficio non è infatti in alcun modo un “avvocato gratuito” ed ha l’unica particolarità di essere stato scelto nell’ambito di un certo procedimento penale dall’Autorità giudiziaria anziché dall’interessato. Anche per il difensore d’ufficio, così come per quello di fiducia, vale la possibilità di essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato, qualora ve ne siano i requisiti previsti dalla legge.

Il (gratuito) patrocinio a spese dello Stato

Il patrocinio a spese dello Stato è quell’istituto che serve a garantire la difesa dei cittadini non abbienti che, non avendo una sufficiente disponibilità economica, non sarebbero altrimenti in grado di procurarsi una difesa tecnica.

Possono essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato sia i cittadini assistiti da un avvocato di fiducia e sia quelli assistiti dall’avvocato d’ufficio. In entrambi i casi, una volta ammessi, il difensore verrà integralmente retribuito dallo Stato, mentre l’interessato potrà godere gratuitamente della sua prestazione professionale. Va tuttavia precisato come soltanto gli avvocati iscritti nell’apposita lista tenuta dal locale Consiglio dell’Ordine degli Avvocati possano assumere difese col gratuito patrocinio a spese dello Stato.

Al 2015, per essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato in ambito penale (il “gratuito” patrocinio è infatti previsto anche in ambito civile) è necessario che l’interessato sia titolare di un reddito annuo imponibile, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore ad euro 11.396,24. Se l’interessato convive con il coniuge o altri familiari, ai fini del calcolo del reddito è necessario sommare tutti i redditi dei componenti della famiglia, ma il tetto massimo è elevato di euro 1.032,91 per ciascun familiare convivente.

Chi possiede questi requisiti ha il diritto di farsi assistere gratuitamente da un avvocato, che verrà successivamente retribuito dallo Stato. Chiunque non possegga questi requisiti e venga indagato o imputato di un reato, invece, avrà l’obbligo di retribuire il suo difensore, del tutto a prescindere dal fatto che quest’ultimo sia stato nominato dall’interessato oppure sia stato nominato d’ufficio dall’Autorità giudiziaria.

Avv. Ronny Spagnolo, Ph.D.