Il termine “bancarotta” deriva dall’uso genovese di epoca medievale di rompere il tavolo (la banca, appunto) del commerciante o dell’artigiano divenuto insolvente.
Si tratta oggi un reato punito piuttosto severamente dal Regio Decreto n. 267 del 16 marzo 1942 che, tra le altre cose, disciplina appunto gli illeciti fallimentari: le fattispecie di reato che possono essere commesse da imprenditori e da amministratori di società tipicamente nei momenti di crisi aziendale.
Presupposto indispensabile affinché possa essere contestato il reato di bancarotta è che un imprenditore individuale o una società siano dichiarati falliti dal Tribunale. Col fallimento, viene accertato che l’imprenditore o la società non sono più in grado di far fronte con le proprie risorse al pagamento delle obbligazioni contratte (con fornitori, banche ed altri creditori) per l’esercizio dell’attività ed i beni residui vengono quindi liquidati in favore dei creditori.
Il fallimento, tuttavia, non comporta necessariamente delle conseguenze penali per il fallito. Occorre a questo punto introdurre una prima bipartizione tra due diverse forme di bancarotta: quella semplice e quella fraudolenta.
La bancarotta semplice
Commette il delitto di bancarotta semplice l’imprenditore che fallisce dopo aver posto in essere comportamenti che non sono intenzionalmente volti ad arricchirsi a discapito dei propri creditori, ma che connotano una gestione imprudente – o addirittura temeraria – dell’attività.
In particolare, ai sensi dell’art. 217 L.F. commette il reato di bancarotta semplice l’imprenditore fallito che abbia:
- Fatto spese personali sproporzionate rispetto alla sua condizione;
- Abbia compromesso il suo patrimonio con operazioni manifestamente imprudenti;
- Abbia compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento;
- Abbia aggravato il proprio dissesto astenendosi dal richiedere il proprio fallimento o con altra grave colpa;
- Non abbia assolti alle obbligazioni assunte con un precedente concordato preventivo o fallimentare;
- Abbia omesso di tenere le scritture contabili nei tre anni precedenti al fallimento.
Le ipotesi di bancarotta semplice, in cui i creditori dell’impresa rimangono danneggiati a causa di una gestione temeraria dell’impresa, sono puniti con la reclusione da sei mesi a due anni.
La bancarotta fraudolenta
Estremamente più severa è invece la pena comminata per i casi di bancarotta fraudolenta. In questi casi, infatti, l’art. 216 L.F. prevede la reclusione da tre a dieci anni.
Con l’etichetta di bancarotta fraudolenta sono in realtà punite tre diverse classi di comportamenti.
Viene innanzitutto in rilievo l’ipotesi più comune di bancarotta fraudolenta per distrazione, nella quale l’imprenditore o l’amministratore sociale sottrae/distrae/occulta/distrugge beni e risorse dal patrimonio proprio o di quello sociale al fine di arricchirsi ai danni dei propri creditori, che rimangono in tal modo privi di ogni garanzia patrimoniale del loro credito.
In queste ipotesi il comportamento dell’imprenditore/amministratore non è meramente avventato o temerario, ma è, appunto, “fraudolento” ovverosia deliberatamente mirato a danneggiare i creditori sociali a proprio vantaggio.
La seconda classe di comportamenti a venire in rilievo è quella di bancarotta fraudolenta preferenziale.
In queste ipotesi il responsabile non agisce per arricchire sé stesso bensì, nonostante l’impresa sia ormai insolvente (cioè non più in grado di far fronte alle obbligazioni contratte), esegue dei pagamenti in favore di alcuni dei creditori, con conseguente danno per gli altri.
Uno dei principi che regolano la gestione del fallimento è infatti quello della par condicio creditorum, in forza del quale tutti i creditori hanno diritto di soddisfare le proprie pretese creditorie sul patrimonio aziendale residuo a parità di condizioni.
E’ perciò evidente come il soddisfacimento di soltanto alcuni di queste obbligazioni a discapito delle altri configuri una violazione del predetto principio, oltre che la commissione del suddetto delitto. In questi casi, tuttavia, non agendo l’imprenditore/amministratore per arricchire sé stesso, la pena è meno severa rispetto a quella prevista per la bancarotta fraudolenta distrattiva, variando da uno a cinque anni di reclusione.
Infine, vengono in rilievo le ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale.
L’imprenditore commerciale, così come le società, sono infatti gravati dall’obbligo di registrare la propria intera attività su appositi libri contabili previsti dalla legge.
Risponde pertanto di bancarotta fraudolenta l’imprenditore o l’amministratore che abbia distrutto, falsificato o sottratto i libri contabili allo scopo di procurarsi un ingiusto profitto o di danneggiare i suoi creditori.
In carenza delle scritture contabili, infatti, diventa estremamente difficile ricostruire il patrimonio dell’imprenditore o della società, col risultato di rendere complicato, quando non anche impossibile, stabilire su quali beni possano rifarsi i creditori sociali rimasti insoddisfatti.
Spesso e volentieri, peraltro, l’alterazione o la distruzione delle scritture contabili si pone come una condotta strumentale volta a realizzare quelle condotte distruttive già descritte nella prima fattispecie di bancarotta fraudolenta distrattiva.
Giova infine precisare come i reati di bancarotta si perfezionino soltanto al momento in cui l’imprenditore o la società vengano dichiarati falliti, quindi in un momento generalmente successivo rispetto a quello in cui furono compiuti gli atti di bancarotta, che rimangono invece del tutto penalmente irrilevanti in assenza di una – precedente o successiva – dichiarazione giudiziale di fallimento.
Avv. Ronny Spagnolo, Ph.D.