I delitti di falso in atto pubblico costituiscono un vasto arcipelago di reati accomunati dal fatto di essere previsti dal legislatore allo scopo di tutelare la pubblica fede: ovverosia la fiducia che la collettività ripone in determinati oggetti o simboli (si pensi al sigillo notarile), o atti giuridici, sulla cui veridicità o autenticità deve potersi fare affidamento per poter rendere certo, sollecito ed affidabile il traffico economico e giuridico.
I delitti di falso sono classici reati c.d. “di pericolo” nel senso che per la loro commissione non è necessario che il documento falso venga utilizzato a proprio vantaggio, bastando la sua stessa formazione.
L’oggetto del falso non può essere un documento qualsiasi, bensì deve trattarsi di un atto pubblico: ovverosia un atto generato da un pubblico ufficiale nell’esercizio della sua funzione regolata dalla legge e pertanto facente pubblica fede. Ai sensi dell’art. 491-bis C.p. la stessa tutela è estesa anche ad ogni documento informatico pubblico avente efficacia probatoria.
La fotocopia falsificata non integra il reato di falso quando, nell’intenzione dell’agente e nella valenza oggettiva, l’atto sia presentato come fotocopia, con la conseguenza è priva di rilevanza ed effetti, anche penali; per contro, la fotocopia falsificata integra il reato di falsità materiale quando essa si presenta non come tale ma con l’apparenza di un documento originale, atto a trarre in inganno (Cass. pen. sez. V, 9 ottobre 2014 – 27 febbraio 2015, n. 8870).
In particolare, i delitti di falso si distinguono alla luce di due aspetti: uno obiettivo e l’altro soggettivo.
Sul piano oggettivo occorre innanzitutto distinguere la falsità materiale da quella ideologica.
Si realizza un’ipotesi di falsità materiale tutte le volte in cui un documento viene alterato nella sua stessa materialità: creando un atto ex novo da parte di un autore diverso oppure realizzando una contraffazione di uno già esistente, cancellando parole o aggiungendone di nuove.
Si parla invece di falsità ideologica quando l’atto è autentico nella sua materialità, ma il suo autore vi ha impresso un contenuto non veritiero.
Sul piano soggettivo si distingue invece a seconda che il falso sia stato commesso dal pubblico ufficiale oppure da un privato cittadino.
Il Codice penale punisce in maniera piuttosto rigorosa i delitti di falso: vediamo come.
Venendo alle fattispecie previste dal Codice penale, va innanzitutto segnalato l’art. 476 C.p. che punisce la falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici.
Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a sei anni. Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a dieci anni.
I successivi artt. 477 e 478 C.p. estendono la punibilità alla falsità materiale del pubblico ufficiale in certificati e autorizzazioni amministrative, in copie autentiche di atti pubblici e in attestati del contenuto di atti.
Ai sensi dell’art. 482 C.p., inoltre, la punibilità delle tre fattispecie summenzionate è estesa alle ipotesi nelle quali gli autori del falso materiale siano privati o pubblici ufficiali al di fuori dell’esercizio delle loro funzioni. In questi casi la pena è però ridotta di un terzo.
Venendo invece alle ipotesi di falsità ideologica commesse dal pubblico ufficiale in atto pubblico, va segnalato l’art. 479 C.p. secondo il quale:
Il pubblico ufficiale, che ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, soggiace alle pene stabilite nell’art. 476.
Il successivo art. 480 C.p. si occupa di estendere la punibilità per le ipotesi nelle quali il pubblico ufficiale commetta il falso ideologico in certificati o autorizzazioni pubbliche. L’art. 481 C.p. estende invece la punibilità per le ipotesi in cui l’autore del falso sia l’esercente la professione sanitaria, forense o altro servizio di pubblica utilità.
Per quanto riguarda invece i privati, che di principio non possono formare un atto pubblico, va segnalato l’art. 483 C.p. ai sensi del quale:
Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni.
Se si tratta di false attestazioni in atti dello stato civile, la reclusione non può essere inferiore a tre mesi.
Per quel che concerne l’elemento soggettivo del reato, va ricordato come tutti questi delitti siano punibili a titolo di dolo. Non è perciò sufficiente la commissione del falso, ma occorre altresì la consapevolezza di alterare materialmente un documento autentico oppure di attestarvi delle informazioni non corrispondenti al vero.
Per concludere, merita di segnalare come il D.Lgs. n. 7 del 16 gennaio 2016 abbia abrogato l’art. 485 C.p. depenalizzando il delitto di “Falsità in scrittura privata“. Ad oggi, pertanto, la creazione e l’uso di scritture private fasulle (come, ad esempio, i contratti tra privati) non costituisce più reato, potendo tutt’al più fungere da “artificio” per l’integrazione di altre fattispecie, quali la truffa.
Avv. Ronny Spagnolo, Ph.D.