Cassazione penale , SS.UU., sentenza 14.03.2014 n° 12228
Il delitto di concussione, di cui all’art. 317 c.p. nel testo modificato dalla L. n. 190 del 2012, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno “contra ius” da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita e si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall’art. 319 quater c.p. introdotto dalla medesima L. n. 190, la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest’ultimo non si risolva in un’induzione in errore), di pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico. (In motivazione, la Corte ha precisato che, nei casi ambigui, l’indicato criterio distintivo del danno antigiuridico e del vantaggio indebito va utilizzato, all’esito di un’approfondita ed equilibrata valutazione del fatto, cogliendo di quest’ultimo i dati più qualificanti idonei a contraddistinguere la vicenda concreta).
Sussiste continuità normativa, quanto al pubblico ufficiale, fra la previgente fattispecie di concussione per costrizione ed il novellato art. 317 c.p., la cui formulazione è del tutto sovrapponibile, sotto il profilo strutturale, alla prima, con l’effetto che, in relazione ai fatti pregressi, va applicato il più favorevole trattamento sanzionatorio previsto dalla vecchia disposizione. Al contrario, l’abuso costrittivo dell’incaricato di pubblico servizio, prima dell’entrata in vigore della L. n. 190 del 2012 sanzionato anch’esso dall’art. 317 c.p., è attualmente un illecito estraneo allo statuto dei reati contro la P.A. ed è punibile, a seconda dei casi concreti, in base alle disposizioni incriminatrici dell’estorsione, della violenza privata o della violenza sessuale, fattispecie tutte che si pongono in rapporto di continuità normativa con la precedente norma di cui all’art. 317 c.p, con la conseguenza che, in relazione ai fatti pregressi, sarà compito del giudice verificare in concreto quale norma contiene la disposizione più favorevole da applicare.
Ancora, sussiste continuità normativa fra la concussione per induzione di cui al previgente art. 317 c.p. ed il nuovo reato di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all’art. 319quater c.p., considerato che la pur prevista punibilità, in quest’ultimo, del soggetto indotto non ha mutato la struttura dell’abuso induttivo, fermo restando, per i fatti pregressi, l’applicazione del più favorevole trattamento sanzionatorio di cui alla nuova norma. Sebbene l’art. 317 bisc.p., modificato dalla L. n. 190 del 2012, non preveda tra i reati che comportano l’interdizione dai pubblici uffici l’induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all’art. 319 quater c.p., tuttavia deve ritenersi che a tale reato consegua comunque detta pena accessoria, trattandosi di reato commesso con abuso di poteri. (In motivazione la Corte ha precisato che la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici deve essere modulata nella sua durata in base alle norme generali di cui agli artt. 29, 31 e 37 c.p.). (1)
(*) Fonte: CED Cassazione. Riferimenti normativi: artt. 29, 31, 37, 317-317 bis, 319 quater, 609 bis, 610 e 629 c.p.; art. 1, co. 75, L. 6 novembre 2012, n. 190.
(1) Cfr., in senso conforme, Cass. Pen., sez. VI, sentenza 22 gennaio 2013, n. 3251, Cass. Pen., sez. VI, sentenza 12 marzo 2013, n. 11792, Cass. Pen., sez. VI, sentenza 21 marzo 2013, n. 13047, Cass. Pen., sez. VI, sentenza 8 aprile 2013, n. 16154, Cass. Pen., sez. VI, sentenza 12 aprile 2013, n. 16566, Cass. Pen., sez. VI, sentenza 13 maggio 2013, n. 20428, Cass. Pen., sez. VI, sentenza 21 maggio 2013, n. 21701 e Cass. Pen., sez. VI, sentenza 9 luglio 2013, n. 29338.
Fonte: Altalex
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