Correva l’anno 1958 quando in Italia entrava in vigore la c.d. “Legge Merlin”, che metteva al bando le case di tolleranza. A partire da allora, nonostante l’attività di prostituzione non sia di per sé illecita (sia per chi vi si presta, sia per il cliente – se chi vi si presta è maggiorenne), sono severamente puniti lo sfruttamento ed il favoreggiamento della prostituzione altrui.
Più nello specifico, ai sensi dell’art. 3 della L. 75/1958:
È punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 258 a euro 10.329, salvo in ogni caso l’applicazione dell’art. 240 del codice penale:
1) chiunque, trascorso il termine indicato nell’art. 2, abbia la proprietà o l’esercizio, sotto qualsiasi denominazione, di una casa di prostituzione, o comunque la controlli, o diriga, o amministri, ovvero partecipi alla proprietà, esercizio, direzione o amministrazione di essa;
2) chiunque, avendo la proprietà o l’amministrazione di una casa od altro locale, li conceda in locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione;
3) chiunque, essendo proprietario, gerente o preposto a un albergo, casa mobiliata, pensione, spaccio di bevande, circolo, locale da ballo, o luogo di spettacolo, o loro annessi e dipendenze o qualunque locale aperto al pubblico od utilizzato dal pubblico, vi tollera abitualmente la presenza di una o più persone che, all’interno del locale stesso, si danno alla prostituzione;
4) chiunque recluti una persona al fine di farle esercitare la prostituzione, o ne agevoli a tal fine la prostituzione;
5) chiunque induca alla prostituzione una donna di età maggiore, o compia atti di lenocinio, sia personalmente in luoghi pubblici o aperti al pubblico, sia a mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità;
6) chiunque induca una persona a recarsi nel territorio di un altro Stato o comunque in luogo diverso da quello della sua abituale residenza, al fine di esercitarvi la prostituzione ovvero si intrometta per agevolarne la partenza;
7) chiunque esplichi un’attività in associazioni ed organizzazioni nazionali od estere dedite al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione od allo sfruttamento della prostituzione, ovvero in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo agevoli o favorisca l’azione o gli scopi delle predette associazioni od organizzazioni;
8) chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui.
Ai sensi dell’art. 4 della L. 75/1958, inoltre, le pene comminate dall’art. 3 sono raddoppiate in una cospicua serie di ipotesi, come quando il reato sia commesso ai danni di più persone.
Cerchiamo allora di capire che cosa debba intendersi per favoreggiamento o sfruttamento della prostituzione.
Secondo la giurisprudenza, il favoreggiamento della prostituzione si concretizza in qualunque attività idonea e consapevolmente volta a procurare favorevoli condizioni per l’esercizio della prostituzione. Del tutto irrilevante è invece il movente dell’azione, ovverosia le ragioni soggettive di chi commette il reato (Cass. pen., sez. III, 20 novembre 2013, n. 6373).
Non è perciò richiesto che il favoreggiamento della prostituzione sia accompagnato da uno sfruttamento economico, bastando la mera agevolazione consapevole di tale attività.
Sebbene il legislatore abbia utilizzato una formula estremamente ampia (v. n. 8) art. 3 L. 75/1958), contemplando astrattamente la punizione di qualsiasi forma di agevolazione della prostituzione altrui, la giurisprudenza sembra favorevole ad una lettura più restrittiva del dato normativo, ricomprendendo nel novero delle condotte agevolative solo quelle concretamente idonee a garantire un apporto o un servizio alla prostituta non facilmente ottenibile dalla medesima. Deve quindi trattarsi di un aiuto oggettivo all’esercizio del meretricio e non di un favore alla persona della prostituta (Cass. pen., sez. III, 19 novembre 2014, n. 44918).
Nonostante parte della dottrina abbia sostenuto la natura abituale del delitto di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, la giurisprudenza è unanime nel ravvisare la commissione del predetto illecito anche allorquando il tutto si esaurisca in un singolo episodio (Cass. pen., sez. III, 25 giugno 2002, n. 33615).
Quanto alla nozione di “sfruttamento”, invece, si tratta di una condotta che determina una qualche forma di partecipazione (diretta o anche indiretta) rispetto ai proventi realizzati da chi si prostituisce.
Non è necessario che lo sfruttatore ponga in essere condotte vessatorie rispetto a chi si prostituisce, realizzandosi una forma di “sfruttamento” anche nelle ipotesi nelle quali chi si prostituisce ceda allo “sfruttatore” parte dei guadagni in maniera del tutto libera (Cass. pen., sez. III, 28 aprile 2003, n. 19664).
In capo allo sfruttatore deve quindi realizzarsi un arricchimento ingiustificato proveniente dall’attività di prostituzione altrui, senza che vi sia un’adeguata giustificazione, ovverosia una controprestazione equamente retribuita.
Quanto all’elemento soggettivo, sia il favoreggiamento che lo sfruttamento della prostituzione sono punibili a titolo di dolo generico, ovverosia è sufficiente che l’autore del comportamento agisca nella consapevolezza dei favorire la prostituzione altrui oppure di lucrare ingiustamente sulla medesima.
Veniamo quindi ad analizzare un paio di ipotesi ricorrenti e potenzialmente riconducibili a tali fattispecie di reato.
Il primo comportamento che è spesso finito sotto la lente d’ingrandimento della magistratura italiana è quello rappresentato dall’accompagnamento della prostituta sul luogo di esercizio del meretricio.
Sul punto si è innanzitutto chiarito come sia del tutto priva di rilevanza penale la condotta del cliente che, dopo aver consumato il rapporto, riaccompagni la prostituta sul luogo nel quale l’aveva prelevata. In questo caso, infatti, non si tratta di un aiuto oggettivo volto a favorire l’attività di prostituzione, bensì di una mera cortesia soggettivamente rivolta alla persona che si prostituisce (Cass. pen., sez. III, 18 maggio 2011, n. 36392).
Differente è invece la soluzione quando a realizzare l’accompagnamento sia una persona terza rispetto a chi si prostituisce e al suo cliente. In queste ipotesi è certamente possibile ipotizzare la commissione del reato di favoreggiamento della prostituzione allorquando la condotta sia appunto volta a favorire oggettivamente la prostituzione altrui e non invece a realizzare una cortesia personale a chi si prostituisce. Occorre pertanto distinguere a seconda degli elementi sintomatici della fattispecie quali, ad esempio, la non occasionalità, i rapporti personali intercorrenti tra le due persone, l’espletamento di attività ulteriori ecc. (Cass. pen., sez. III, 16 giugno 2013, n. 37229)
Coerentemente, la Suprema Corte ha recentemente affermato il seguente principio “Il tassista che accompagna le prostitute al lavoro commette reato: infatti, il reato di favoreggiamento della prostituzione consiste in qualsiasi comportamento oggettivamente idoneo a facilitare consapevolmente lo svolgimento dell’attività della prostituta, indipendentemente dal fine di lucro personale dell’agente che può anche mancare” (Cass. pen. sez. III, 7 luglio 2016, n. 28212).
Un’altra condotta che ha spesso interrogato la giurisprudenza circa la possibilità di sussumerla nel novero delle fattispecie che puniscono il favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione è quella del proprietario di immobile che, consapevolmente, dia quest’ultimo in locazione a chi vi esercita all’interno il meretricio.
In questi casi bisognerà verificare l’adeguatezza del canone di locazione richiesto. Allorquando si tratti di un un prezzo superiore a quello di mercato – e quindi volto a partecipare ai profitti del meretricio – si avrà certamente un’ipotesi di sfruttamento della prostituzione penalmente rilevante. Diversamente, qualora si tratti di una locazione a prezzi congrui, non vi sarà alcun sfruttamento né agevolazione penalmente rilevante, trattandosi della concessione in godimento di un immobile a condizioni di mercato (Cass. pen., sez. III, 31 luglio 2013, n. 33160).
La Cassazione ha inoltre precisato come in queste ipotesi non ricorra neppure la fattispecie di reato di cui al n. 2 dell’art. 3 della Legge Merlin (locazione di immobile a scopo di esercizio di una casa di prostituzione), dovendo ravvisarsi nell’ipotesi prevista dalla legge una qualche forma di organizzazione, che non è riconoscibile quando all’interno dell’abitazione si prostituisca una sola prostituta, anche se non necessariamente sempre la stessa (Cass. pen. sez. III, 31 luglio 2013, n. 33160).
Avv. Ronny Spagnolo, Ph.D.