E’ lecito fotografare o puntare una telecamera verso la casa del vicino? Per rispondere a questa domanda è necessario esaminare il reato di interferenze illecite nella vita privata, così da definirne i limiti applicativi.
Ai sensi dell’art. 615-bis C.p., infatti,
Chiunque, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’articolo 614 [abitazione altrui o un altro luogo di privata dimora o le appartenenze di essi], è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.
Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo.
La fattispecie di reato succitata venne introdotta nell’ordinamento solo nel 1974 e mira inequivocabilmente a tutelare la riservatezza dei luoghi di privata dimora dalle possibili intromissioni dei terzi.
I luoghi che godono di questa particolare tutela sono tutti quelli nei quali, anche per un periodo temporale determinato ma comunque apprezzabile, si svolge la vita privata di una o più persone, oltre alle loro appartenenze (per esempio, il giardino).
Quanto alla condotta vietata, si tratta essenzialmente di due diverse ipotesi. Da un lato vi sono tutte quelle condotte volte a captare immagini e/o informazioni sulla vita privata altrui estrinsecatasi nelle loro private dimore. Non basta pertanto l’osservazione ad occhio nudo, bensì è necessario l’utilizzo di un dispositivo di ripresa audio-visivo. In secondo luogo, vengono in rilievo tutte quelle modalità volte a pubblicare e a diffondere le informazioni così illecitamente carpite.
L’elemento soggettivo richiesto ai fini della commissione del delitto in parola è costituito dalla coscienza e volontà di carpire immagini e/o informazioni dai luoghi in cui si esplica la vita privata.
L’aspetto dirimente per definire l’ambito applicativo della fattispecie è rappresentato dall’avverbio “indebitamente” che deve reggere la condotta punita dalla norma. Quando la condotta di captazione di immagini e/o informazioni dai luoghi di vita privata altrui può dirsi indebita?
Ebbene, in linea di massima può dirsi che la condotta dell’agente è indebita quand’è gratuita ed arbitraria, ovverosia quando non è giustificata da alcuno scopo protetto dall’ordinamento. Tutte le volte in cui la condotta è sorretta da una finalità giuridicamente tutelata non può dirsi come indebita e pertanto non si configura il reato in parola. Non risponderà quindi di alcun reato il vicino che fotografi il giardino o l’abitazione altrui al fine di documentare la realizzazione di un abuso edilizio e perciò la commissione di un reato (Cass. pen, 24 giugno 2011, n. 25453).
Da questa constatazione la giurisprudenza di legittimità ha inoltre ricavato un’importante conseguenza. Secondo la Corte di Cassazione, infatti, “la tutela della riservatezza del domicilio è limitata a ciò che si compie in luoghi di privata dimora in condizioni tali da renderlo tendenzialmente non visibile ad estranei” (Cass. pen., Sez. V, 11 maggio 2012, n. 18035).
Ciò significa che non è illecito fotografare e riprendere l’abitazione altrui nei limiti in cui quest’ultima non sia in alcun modo schermata dalla pubblica via o dalla proprietà del vicino e, pertanto, chi carpisce immagini o informazioni possa farlo senza ricorrere a particolare accorgimenti tecnici (es. scale, zoom).
Quanto alla procedibilità, i delitti di interferenza illecita nella vita privata sono punibili a querela della persona offesa; tuttavia si procede d’ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.
Avv. Ronny Spagnolo, Ph.D.